La separazione legale non esclude di per sé il reato di maltrattamenti in famiglia

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Avv. Marco Trasacco | È configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l’agente, quando quest’ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione, atteso che la convivenza non rappresenta un presupposto della fattispecie e, pertanto, quanto al rapporto tra i coniugi, la separazione legale non esclude il reato quando le condotte persecutorie incidano sui vincoli di reciproco rispetto, assistenza morale e materiale, nonché di collaborazione, che permangono integri anche seguito della cessazione della convivenza (Cassazione penale sez. VI, 05/12/2018, (ud. 05/12/2018, dep. 11/02/2019), n.6506).

La Suprema Corte, nel caso di specie, si pone sulla scia di un orientamento ormai consolidato secondo il quale, ai fini della sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), va esclusa l’incidenza della cessazione della convivenza tra i coniugi poiché fondamentale è l’abitualità della condotta anche dopo la cessazione della convivenza.

In seguito la sentenza per esteso.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente –
Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere –
Dott. VILLONI Orlando – Consigliere –
Dott. CAPOZZI Angelo – rel. Consigliere –
Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Z.D., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 22/03/2018 della CORTE APPELLO di ANCONA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPOZZI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Dott. TAMPIERI Luca, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza
rinvio della sentenza con assorbimento dei capi “B” e “C” nel capo
“A” ed eliminazione della pena relativa;
inammissibilità nel resto;
udito il difensore avv. Montecassiano Valeria deposita la memoria
difensiva, nota spese, Decreto ammissione gratuito patrocinio e
conclusioni alle quali si riporta.

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Ancona, a seguito di gravame interposto dall’imputato Z.D. avverso la sentenza emessa in data 23.5.2016 dal Tribunale di Fermo, in parziale riforma della decisione, esclusa l’aggravante contestata ai capi b) e c), ha rideterminato la pena inflitta al predetto riconosciuto responsabile dei reati di cui all’art. 572 cod. pen. (capo a)), art. 582 (capi b e c)) e art. 570 cod. pen. (capo d)).

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che, con atto del difensore, deduce con unico motivo erronea applicazione dell’art. 572 cod. pen.. La Corte di merito, secondo il ricorrente, ha escluso l’incidenza sulla sussistenza della fattispecie dell’abbandono della casa coniugale da parte della persona offesa a partire dal gennaio 2010 con l’interruzione della convivenza. L’abitualità della condotta di maltrattamento non può essere surrogata dai vincoli nascenti dal coniugio laddove nell’arco di 18 mesi – a decorrere dal 6.1.2010 – detta asserita condotta si sarebbe concretizzata in due episodi (quelli sub b e c), peraltro distanti nove mesi l’uno dall’altro.

D’altra parte, si invoca l’autonomia dei fatti successivi alla cessazione della convivenza more uxorio con riferimento all’orientamento giurisprudenziale che li colloca nell’ambito del diverso reato di cui all’art. 612 bis cod. pen..

3. Con memoria difensiva nell’interesse della persona offesa si evidenzia l’erronea prospettazione giuridica e fattuale del ricorrente in ordine alla pretesa cessazione dell’abitualità della condotta criminosa, proseguita anche dopo la fine della convivenza senza soluzione di continuità. Segnala, inoltre, che secondo l’orientamento di legittimità la fattispecie di maltrattamenti sopravvive alla separazione legale e sussiste fino alla pronunzia del divorzio.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato.

2. I Giudici del merito hanno escluso l’incidenza della cessazione della convivenza tra i coniugi sulla sussistenza del reato di maltrattamenti dando contezza della abitualità della condotta anche successivamente alla cessazione della convivenza (v. pg. 9 della sentenza), considerando che la prima querela risulta essere stata sporta nel dicembre del 2010 e, quindi, ben dopo l’allontanamento dalla casa coniugale che non aveva visto cessare le condotte maltrattanti del ricorrente.

3. Il giudizio così espresso è del tutto privo di vizi logici e giuridici in conformità al costante orientamento di legittimità, puntualmente richiamato dalla sentenza impugnata, secondo il quale è configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l’agente, quando quest’ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione (Sez. 6, n. 33882 del 08/07/2014,C., Rv. 262078 – 01; Sez. 2, n. 39331 del 05/07/2016, Spazzoli ed altro, Rv. 267915 – 01) essendo stato spiegato in tale ultima decisione che la convivenza non rappresenta un presupposto della fattispecie e, pertanto, quanto al rapporto tra i coniugi, la separazione legale non esclude il reato quando le condotte persecutorie incidano sui vincoli di reciproco rispetto, assistenza morale e materiale, nonchè di collaborazione, che permangono integri anche seguito della cessazione della convivenza.

E le considerazioni che precedono assorbono ogni questione in ordine alla dedotta qualificazione della condotta ai sensi dell’art. 612 bis cod. pen., in ogni caso correttamente escluso dagli stessi Giudici anche in applicazione della clausola di sussidiarietà espressamente prevista dalla predetta fattispecie.

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo determinare in Euro duemila in favore della cassa delle ammende nonchè alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile T.S., ammessa al patrocinio a spese dello stato, nella misura che sarà separatamente liquidata dal giudice di merito, disponendo il pagamento di tali spese in favore dello Stato.

PQM
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile T.S., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà separatamente liquidata, disponendo il pagamento di tali spese in favore dello Stato.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2019

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Avv. Marco Trasacco
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