Attenuante del risarcimento del danno: necessario il rispetto delle norme civili dell’offerta reale

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Avv. Marco Trasacco | Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del risarcimento del danno di cui all’art. 62, comma 1, n. 6, c.p., in caso di rifiuto del creditore, l’osservanza delle forme prescritte dalla legge civile equipollenti alla dazione diretta, come l’offerta reale, rendono effettiva la riparazione e rivelano la reale volontà dell’imputato di eliminare le conseguenze dannose del reato (Cassazione penale sez. II, 19/10/2018, (ud. 19/10/2018, dep. 16/11/2018), n.51926)

Nel caso in esame, il difensore – anche nel ricorso – ha fatto riferimento ad un assegno di Euro 600 esibito e messo a disposizione della compagnia assicuratrice, mentre, a parere dei Giudici, sarebbe stato necessario osservare le forme dell’offerta reale, la quale si perfeziona con effetto liberatorio per il debitore al momento del deposito della somma presso la cassa depositi e prestiti o presso un istituto bancario.

Il rispetto di tali prescrizioni integra l’estremo della effettività delle riparazioni ed è altresì rivelatore della volontà dell’imputato di eliminare, per quanto possibile, le conseguenze dannose del reato commesso. La Corte, dunque, ha ritenuto legittimo il diniego dell’attenuante in esame qualora il giudice non sia stato messo in grado di valutare l’effettività dell’offerta. (Sez. 1, n. 18440 del 28/04/2006 – dep. 25/05/2006, Friscia, Rv. 23381701).

Ed invero, ai fini della valutazione dell’effettività dell’offerta e dunque della volontà risarcitoria, al di fuori del caso di una offerta diretta a mani della persona offesa, si rende necessaria l’osservanza delle forme prescritte dalle disposizioni della legge civile, dettate proprio per creare, nell’ipotesi di rifiuto del creditore, un equipollente alla dazione diretta, vale a dire le forme dell’offerta reale.

In seguito la sentenza per esteso.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PRESTIPINO Antonio – Presidente –
Dott. DE CRESCIENZO Ugo – Consigliere –
Dott. IMPERIALI Luciano – Consigliere –
Dott. DE SANTIS Anna Maria – Consigliere –
Dott. BORSELLINO Maria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D.S., nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28 aprile 2017 della CORTE APPELLO di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa BORSELLINO MARIA
DANIELA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Dott.ssa CARDIA DELIA, che ha concluso chiedendo inammissibilità.

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. La CORTE di APPELLO di Milano, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronunzia del Tribunale di Milano del 4 novembre 2016 nei confronti di D.S. in ordine al reato di truffa in danno della compagnia assicurativa Genialloyds s.p.a., realizzata presentando fatture di pagamento false riferite a prestazioni mediche mai rese, in relazione a postumi riportati all’esito di un sinistro stradale.

2. Avverso la detta sentenza propone ricorso tramite il suo difensore di fiducia dell’imputata deducendo:

2.1 violazione di legge in ordine alla qualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 642 c.p., comma 2, nonchè travisamento dei fatti e vizio di motivazione sul rilievo che nella sentenza risulta assente qualsiasi motivazione circa l’induzione in errore della società, in quanto la compagnia assicurativa non è stata neppure temporaneamente indotta in errore o tratta in inganno e non ha neppure preso in considerazione la richiesta di risarcimento, attivando immediatamente la procedura di tutela.

2.2 Violazione di legge in ordine alla qualificazione dei fatti come tentata truffa e vizio di motivazione poichè la corte ha erroneamente ritenuto che il reato si fosse consumato, mentre l’azione posta in essere dall’imputata è rimasta nell’ambito del tentativo.

2.3 Violazione di legge in ordine alla configurazione della circostanza attenuante prevista dall’art. 62 c.p., n. 6 e vizio di motivazione, poichè la corte di appello ha negato l’attenuante de quo sul rilievo che non è intervenuta alcuna accettazione da parte dell’assicuratore e che non sono state rispettate le condizioni sopra indicate. Trattasi di motivazione che si pone in aperto contrasto con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui occorre valutare adeguatezza e tempestività dell’offerta, al fine di accertare l’effettiva resipiscenza del reo.

Diritto
RITENUTO IN DIRITTO
1. I primi due motivi di ricorso sono inammissibili perchè ripropongono in maniera pedissequa le censure già avanzate con l’atto di appello e non si confrontano con le articolate argomentazioni con cui il collegio di secondo grado ha ritenuto di superarle.

Ed infatti il collegio di secondo grado nel confermare la responsabilità dell’imputata in ordine al reato di truffa ha fatto buon governo dei principi formulati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, affermando che il reato ex art. 642 cod. pen. è un reato di pericolo a consumazione anticipata e non richiede il conseguimento effettivo di un vantaggio, ma soltanto che la condotta fraudolenta sia diretta ad ottenerlo ed idonea a raggiungere lo scopo. (ex plurimis Sez. 2, n. 8105 del 21/01/2016 – dep. 29/02/2016, P.G. in proc. Nucera, Rv. 26623501).

Emerge dagli atti che l’imputata aveva presentato falsa documentazione fiscale attestante l’esecuzione di trattamenti medici riabilitativi mai eseguiti, sicchè è evidente non soltanto il suo concorso nella frode, ma l’idoneità degli artifizi realizzati a perseguire il profitto ingiusto.

La circostanza che la compagnia assicurativa non abbia provveduto immediatamente alla liquidazione dell’indennizzo e abbia incaricato una società di effettuare degli accertamenti in merito all’istanza di risarcimento non influisce sulla rilevanza penale della condotta dell’imputata.

2. Anche il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato poichè a sostegno del diniego dell’attenuante del risarcimento del danno, la corte ha correttamente richiamato la giurisprudenza di questa corte secondo cui “Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del risarcimento del danno di cui all’art. 62 c.p., comma 1, n. 6, in caso di rifiuto del creditore, l’osservanza delle forme prescritte dalla legge civile equipollenti alla dazione diretta, come l’offerta reale, rendono effettiva la riparazione e rivelano la reale volontà dell’imputato di eliminare le conseguenze dannose del reato. (Sez. 3, n. 11573 del 29/01/2018 – dep. 14/03/2018, B N, Rv. 27230301).

Ed invero, ai fini della valutazione dell’effettività dell’offerta e dunque della volontà risarcitoria, al di fuori del caso di una offerta diretta a mani della persona offesa, si rende necessaria l’osservanza delle forme prescritte dalle disposizioni della legge civile, dettate proprio per creare, nell’ipotesi di rifiuto del creditore, un equipollente alla dazione diretta, vale a dire le forme dell’offerta reale.

Nel caso in esame il difensore anche nel ricorso ha fatto riferimento ad un assegno di Euro 600 esibito e messo a disposizione della compagnia assicuratrice, mentre sarebbe stato necessario osservare le forme dell’offerta reale, la quale si perfeziona con effetto liberatorio per il debitore al momento del deposito della somma presso la cassa depositi e prestiti o presso un istituto bancario. Il rispetto di tali prescrizioni integra l’estremo della effettività delle riparazioni ed è altresì rivelatore della volontà dell’imputato di eliminare, per quanto possibile, le conseguenze dannose del reato commesso. Deve, pertanto, ritenersi legittimo il diniego dell’attenuante in esame qualora il giudice non sia stato messo in grado di valutare l’effettività dell’offerta. (Sez. 1, n. 18440 del 28/04/2006 – dep. 25/05/2006, Friscia, Rv. 23381701).

4. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2018

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