E’ reato non mantenere i figli anche se si è malati e disoccupati

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Avv. Marco Trasacco | La Suprema Corte ha stabilito che il padre che non versa il dovuto mantenimento ai figli rischia una condanna per violazione degli obblighi di assistenza familiare anche se si giustifica evidenziando una patologia (nel caso, si trattava di una cardiopatia) ed uno stato di disoccupazione (Cassazione penale sez. VI, 15/01/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 17/02/2020), n.6227).

In primo grado, l’imputato veniva condannato alla pena di mesi due di reclusione ed Euro 150,00 di multa per il reato di cui all’art. 570 c.p. e, poi, veniva assolto in Appello; il Procuratore Generale proponeva ricorso per cassazione deducendo violazioni di legge e vizi di contraddittorietà della motivazione con riferimento all’erroneo accertamento degli elementi costitutivi della penale responsabilità, sotto il profilo della ritenuta assenza di una prova certa ed inequivocabile che l’imputato si fosse volontariamente e consapevolmente sottratto all’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio.

La Corte di Cassazione annullava la sentenza assolutoria rinviando alla Corte di Appella per un nuovo esame evidenziando:

a) che le condizioni di salute in cui versava l’imputato non ne avevano determinato uno stato di totale e persistente incapacità economica, avendo egli affermato in udienza, nel corso del suo esame dibattimentale, di aver lavorato, sia pure saltuariamente, e guadagnato la somma di circa Euro 500,00 al mese;

b) che egli non aveva dimostrato di essersi attivato per cercare un’attività lavorativa nei – non precisati – periodi in cui sarebbe stato disoccupato;

c) che le dichiarazioni rese in merito alle patologie (al cuore e alla schiena) da cui sarebbe stato affetto risultavano comunque generiche, laddove nessuna prova era emersa circa il fatto che le stesse ne avessero determinato un’assoluta impossibilità di svolgere attività lavorativa, dal momento che egli stesso aveva riferito di avere, all’epoca, lavorato in alcuni periodi e di continuare ad esercitare attività lavorativa al momento della decisione di primo grado;

d) che la documentazione medica prodotta in giudizio (con data decorrente dal 29 luglio 2013) non ne dimostrava affatto la presenza di un impedimento assoluto a far fronte all’obbligo di contribuzione stabilito per il figlio minore con riguardo al precedente arco temporale specificamente delimitato nel tema d’accusa (a far data, come si è visto, dal 1 gennaio 2013), mentre quella relativa alla patologia cardiaca ed alla parziale invalidità civile nei suoi confronti riconosciuta risultava addirittura successiva all’intero lasso temporale oggetto di contestazione (v., supra, il par. 2, lett. b), senza chiarire quale effettiva incidenza, ai fini dell’accertamento della ipotizzata impossibilità di adempiere per gravi ragioni di salute, potesse in concreto attribuirsi alle riferite patologie per gli anni precedenti, ed in particolare per il periodo individuato nella relativa contestazione.

In seguito la sentenza per esteso.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente –
Dott. VILLONI Orlando – Consigliere –
Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere –
Dott. DE AMICIS Gaetan – rel. Consigliere –
Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BOLZANO;
nel procedimento a carico di:
A.A., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 10/01/2019 della CORTE APPELLO SEZ. DIST. di
BOLZANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DE AMICIS GAETANO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Dott. PINELLI MARIO MARIA STEFANO che ha concluso chiedendo
l’annullamento con rinvio.

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10 gennaio 2019 la Corte d’appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, in accoglimento dell’appello proposto dall’imputato ha riformato la sentenza di primo grado, che condannava A.A. alla pena di mesi due di reclusione ed Euro 150,00 di multa per il reato di cui all’art. 570 c.p., commi 1 e 2, limitatamente al fatto della omessa corresponsione del contributo per il mantenimento del figlio minore nel periodo dal 1 gennaio 2013 al 3 marzo 2014, assolvendolo dal reato ascrittogli perchè il fatto non costituisce reato ex art. 530 c.p.p., comma 2.

2. Avverso la su indicata pronunzia ha proposto ricorso per cassazione il P.G. della Repubblica presso la Corte d’appello, che ha dedotto violazioni di legge e vizi di contraddittorietà della motivazione con riferimento all’erroneo accertamento degli elementi costitutivi della penale responsabilità, sotto il profilo della ritenuta assenza di una prova certa ed inequivocabile che l’imputato si fosse volontariamente e consapevolmente sottratto all’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio, richiamando in senso contrario l’insieme degli elementi di fatto che il primo Giudice aveva diversamente valutato per ritenerlo colpevole del reato limitatamente all’arco temporale su specificato.

Rileva in particolare il ricorrente: a) che la Corte d’appello, pur in presenza di una identica situazione clinico-sanitaria in capo all’obbligato, ha contraddetto la sua precedente decisione n. 141 del 30 novembre 2017, che lo aveva invece condannato per il medesimo fatto di reato, in quanto commesso nel precedente lasso temporale intercorso fra il 1 febbraio 2009 ed il 31 dicembre 2012; b) che avverso tale sentenza veniva proposto ricorso per cassazione, dichiarato inammissibile dalla Suprema Corte (Sez. 7, ordinanza n. 23998 del 3 maggio 2018), che nel caso di specie poneva in evidenza come del tutto correttamente ne fosse stata esclusa l’impossibilità assoluta di adempiere a causa delle condizioni di salute, avendo il primo Giudice precisato, sul punto, che la documentazione prodotta dimostrava che solo dal dicembre 2014 era stata riconosciuta all’imputato un’invalidità del 35% e che egli si era inoltre sottoposto a cure mediche nel 2015, riferendosi pertanto quella documentazione clinico-sanitaria ad un’epoca successiva rispetto a quella cui si riferiva la condotta di inadempimento, colà contestata dal 1 febbraio 2009 al 31 dicembre 2012.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e va accolto, avendo la sentenza impugnata omesso di confrontarsi criticamente con l’insieme delle contrarie argomentazioni coerentemente poste dal primo Giudice a fondamento del correlativo giudizio di responsabilità, avuto riguardo non solo alle implicazioni logicamente desumibili dal richiamato precedente specifico di questa Suprema Corte (v., in narrativa, il par. 2, lett. b), ma anche, e soprattutto, al complesso degli elementi partitamente e globalmente apprezzati nella prima decisione di merito, ed in particolare al fatto: a) che le condizioni di salute in cui versava l’imputato non ne avevano determinato uno stato di totale e persistente incapacità economica, avendo egli affermato in udienza, nel corso del suo esame dibattimentale, di aver lavorato, sia pure saltuariamente, e guadagnato la somma di circa Euro 500,00 al mese; b) che egli non aveva dimostrato di essersi attivato per cercare un’attività lavorativa nei – non precisati – periodi in cui sarebbe stato disoccupato; c) che le dichiarazioni rese in merito alle patologie (al cuore e alla schiena) da cui sarebbe stato affetto risultavano comunque generiche, laddove nessuna prova era emersa circa il fatto che le stesse ne avessero determinato un’assoluta impossibilità di svolgere attività lavorativa, dal momento che egli stesso aveva riferito di avere, all’epoca, lavorato in alcuni periodi e di continuare ad esercitare attività lavorativa al momento della decisione di primo grado; d) che la documentazione medica prodotta in giudizio (con data decorrente dal 29 luglio 2013) non ne dimostrava affatto la presenza di un impedimento assoluto a far fronte all’obbligo di contribuzione stabilito per il figlio minore con riguardo al precedente arco temporale specificamente delimitato nel tema d’accusa (a far data, come si è visto, dal 1 gennaio 2013), mentre quella relativa alla patologia cardiaca ed alla parziale invalidità civile nei suoi confronti riconosciuta risultava addirittura successiva all’intero lasso temporale oggetto di contestazione (v., supra, il par. 2, lett. b), senza chiarire quale effettiva incidenza, ai fini dell’accertamento della ipotizzata impossibilità di adempiere per gravi ragioni di salute, potesse in concreto attribuirsi alle riferite patologie per gli anni precedenti, ed in particolare per il periodo individuato nella relativa contestazione.

La sentenza impugnata, dunque, non ha fatto buon governo del quadro di principii stabiliti da questa Suprema Corte, secondo cui il giudice d’appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, pur non avendo l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, è comunque tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata (cfr. Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430), sulla base di uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del “decisum” impugnato, mettendone in luce le carenze o le aporie che ne giustificano l’integrale riforma (Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013, dep. 2014, Ricotta, Rv. 258005; Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Fu, Rv. 261327).

2. Sulla base delle su esposte considerazioni s’impone, conclusivamente, l’annullamento con rinvio della decisione impugnata ad altra Sezione della Corte d’appello in dispositivo indicata, per un nuovo giudizio che, nella piena libertà delle valutazioni di merito di sua competenza, dovrà prendere in esame i su indicati profili critici e porre rimedio alle rilevate carenze motivazionali, uniformandosi ai principii in questa Sede stabiliti.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Trento.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2020

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L’Avv. Marco Trasacco è iscritto al Foro di Napoli Nord ed il suo studio ha sede in Aversa (Caserta) in prossimità del Tribunale di Napoli Nord. Opera, prevalentemente, ma non solo, presso i Tribunali di Santa Maria Capua Vetere, Napoli, Napoli Nord (Aversa), Nola nonchè il Tribunale per i Minorenni di Napoli ed altro. E’ iscritto nelle liste degli Avvocati abilitati alle difese per il patrocinio a spese dello Stato (Gratuito Patrocinio) presso i predetti Tribunali.

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Ho approntato, nel corso degli anni, consulenza e difesa nell’ambito di procedimenti penali inerenti a varie materie. Svolgo la mia professione con zelo e dedizione e la mia soddisfazione è riuscire a guadagnare la fiducia dei clienti. Sono iscritto nelle liste dei difensori abilitati al gratuito patrocinio. Non esitate a contattarmi per qualsiasi informazione.

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