Bancarotta fraudolenta, socio accomandatario, gestione azienda, configurabilità del reato

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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE V PENALE

Sentenza 28 settembre – 29 novembre 2011, n. 44103

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 5-11-2010 la Corte di Appello di Cagliari,confermava la sentenza emessa dal Tribunale del luogo, in data 15.3.2004, a carico di M.E., condannato quale responsabile del reato di bancarotta contestato ai sensi dell’art. 110 c.p., e R.D. n. 267 del 1942, art. 216, inerente alla s.a.s. CEDIEL, dichiarata fallita in data 26.5.1996, della quale il M. era socio accomandante.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo:

1 – la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in riferimento all’art. 157 c.p., per non avere la Corte di Appello dichiarato il reato estinto per prescrizione.

A riguardo il ricorrente evidenziava che la dichiarazione di fallimento della s.a.s. CEDIEL risaliva al 26 maggio del 1996, e che i fatti erano avvenuti precedentemente. Ritenendo applicabile la nuova formulazione dell’art. 157 c.p., in quanto più favorevole all’imputatola difesa evidenziava che il termine di prescrizione ai sensi dell’art. 161 c.p., comma 2, era di anni dodici e mesi sei, già decorso alla data della sentenza di appello, emessa il 5.11.2010. 2 – Con il secondo motivo censurava la sentenza per violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 216.

Sul punto rilevava che il M. non era stato dichiarato fallito, e che era stata rigettata dal Tribunale la richiesta avanzata dal curatore del fallimento di estendere la dichiarazione di fallimento al prevenuto,per aver violato il divieto di immissione che grava sul socio accomandante nelle s.a.s.

Peraltro la difesa riteneva che la Corte avesse violato il principio di correlazione evidenziando che al M. era stato contestato il delitto di cui alla L. Fall., art. 216, e mai si era contestato il reato di cui alla L. Fall., art. 223, addebitato a persone diverse dal fallito.

Richiamava sul tema della “bancarotta propria” sentenza di questa Corte (Sez. 5^ – in data 1-2-1994) per cui: “Nella società in accomandita semplice i soci accomandanti, qualora debbano considerarsi illimitatamente responsabili, possono rispondere del reato di bancarotta, a norma della L. Fall., art. 222, solo se è stato dichiarato anche il loro fallimento”.

La difesa rilevava altresì che gli amministratori di fatto erano considerati responsabili di bancarotta “impropria” solo qualora l’evento represso fosse conseguenza della ingerenza nei poteri di amministrazione, in assenza di accertamento negativo della predetta qualità.

Per il M. la difesa evidenziava che sussisteva l’accertamento negativo della qualità di amministratore di fatto,costituito dal rigetto della richiesta di estensione della dichiarazione di fallimento al suddetto imputato.

Per tali motivi concludeva chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorso deve ritenersi privo di fondamento.

Per quanto riguarda il preteso decorso del termine di prescrizione,si osserva che la censura difensiva risulta manifestamente priva di fondamento,atteso che essendo stata pronunziata la sentenza di primo grado in data 15.3.2004, deve ritenersi applicabile il disposto dell’art. 157 c.p., nella formulazione previgente alla riforma normativa del 2005, onde il termine di prescrizione del delitto di cui alla L. Fall., art. 216, va indicato nella data del 26 novembre del 2018,pari ad anni ventidue e mesi sei dalla data del fallimento.

2 – Per ciò che concerne il secondo motivo di ricorso la Corte rileva l’infondatezza delle deduzioni difensive.

In primo luogo va evidenziato che la tesi prospettata dalla difesa del ricorrente, che fonda la propria censura alla decisione impugnata sul presupposto che il M. sarebbe soggetto che nella qualità di socio accomandante – avrebbe prestato solo “occasionalmente” la propria attività lavorativa, nell’ambito della s.a.s. CEDIL, come “socio d’opera”, essendosi limitato a ricevere alcuni ordinativi di merci da parte dei clienti,che trasmetteva al socio amministratore – e la mancata estensione del fallimento al predetto imputato restano elementi inidonei a far escludere l’ascrivibilità del delitto contestato alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, che il Giudice di appello ha puntualmente richiamato (Cass. Sez. 5^, sent. n. 2637 del 7.2.1994, Cumani, e Sez. 5^, sent. n. 43036 del 13.10.2009, Gennari) – Fondamentale, ai fini della decisione, resta l’accertamento della consapevole violazione del divieto di immissione da parte del socio accomandante, e tale violazione emerge dal testo della sentenza impugnatale puntualmente e correttamente analizza le risultanze desumibili da accertamenti svolti dal curatore, evidenziando come sia irrilevante la circostanza che i testi abbiano dichiarato di non avere avuto rapporti con l’imputato, essendo costoro (indicati specificamente a fl. 5 della sentenza) dei fornitori della società fallita, mentre il M., alla stregua di quanto accertato dal curatore, aveva trattato i rapporti con i clienti, ai quali aveva proposto condizioni di vendita vantaggiosissime. Inoltre il predetto aveva curato l’organizzazione del trasporto delle merci con poteri direttivi nei riguardi del personale della ditta (secondo quanto specificato a fl. 6 del provvedimento).

Tali elementi, desunti da valide e non contrastate fonti probatorie, rendono conto del fondamento della decisione ai fini dell’ipotesi di reato ascritta ai sensi della L. Fall., art. 216, al M. a titolo di concorso con l’accomandatario.

Invero questa Corte ritiene sufficiente al fine di legittimare la pronunzia di condanna, l’accertamento inerente al concreto coinvolgimento dell’imputato in attività tipiche della gestione di azienda,quali i ripetuti e fattivi contatti con la clientela, che la difesa non ha inteso escludere anche nella formulazione del motivo di ricorso,nel quale tende a svalutare le risultanze richiamate dal Giudice di merito senza addurre dati significativi della estraneità del M. alla attività di gestione, avendo il ricorrente ricevuto pagamenti come descritto nella motivazione specifica e coerente resa dalla Corte territoriale.

Analogamente non è stata smentita la avvenuta distrazione di beni indicati in rubrica al punto – 4 -.

In conclusione deve peraltro affermarsi – disattendendo le argomentazioni difensive – che anche la mancata estensione della dichiarazione di fallimento, non è di per sè stessa preclusiva della responsabilità del socio accomandante che abbia violato il divieto di immissione nell’attività amministrativa, quale concorrente nel delitto di bancarotta fraudolenta ascritto all’accomandatario, essendo sufficiente ai fini della lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale enunciata dalla L. Fall., art. 216, lo svolgimento di attività amministrativa, anche attraverso i contatti con clienti dell’impresa, che implicano inevitabilmente la gestione delle attività aziendali.

Non risulta infine dotata di alcun fondamento la censura relativa alla violazione del principio di correlazione,che la difesa individua nella attribuzione all’imputato della ipotesi di cui alla L. Fall., art. 223, della quale non vi sarebbe menzione in rubrica.

Diversamente basta evidenziare che nella sentenza emessa dal Tribunale di Cagliari, risultava trascritta nella imputazione – la condotta contestata, che nelle sue modalità, comprendeva la “omessa tenuta delle scritture contabili, in particolare del libro giornale, in modo da impedire la ricostruzione del movimento d’affari della società fallita”.

Per tali motivi la Corte deve rigettare il ricorso,ed il ricorrente va condannato,come per legge al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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