Stupefacenti: l’assenza di una lecita fonte di sostentamento non è motivo di scarcerazione

stupefacenti lieve entità Tempo di lettura stimato: 2 minuti
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Avv. Marco Trasacco | In seguito, l’ordinanza emessa dal Tribunale della Libertà di Milano che, in data 18 luglio scorso, ha disposto la scarcerazione di un cittadino gambiano imputato per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti a scopo di cessione, dopo che ne era stato disposto l’arresto in flagranza. Dalla lettura del provvedimento, è evidente che i motivi su cui si fonda la scarcerazione dell’imputato sono ben diversi da quelli descritti da numerosi articoli di stampa.

Il 27 giugno scorso, un cittadino gambiano, rinvenuto in possesso di alcune pasticche di ecstasy, veniva arrestato a Milano in flagranza del reato di detenzione di sostanze stupefacenti a scopo di cessione ed, a seguito della istanza di riesame presentata dalla Difesa, il 18 luglio si teneva l’udienza per la decisione in merito a tale istanza ed il Tribunale del Riesame disponeva la scarcerazione dell’indagato.

Tale provvedimento ha avuto un forte impatto mediatico destando l’indignazione di gran parte dell’opinione pubblica, sulla scorta di una erronea lettura del  predetto provvedimento, in quanto secondo alcuni la scarcerazione si sarebbe fondata sul fatto che i Giudici avrebbero asserito che lo spaccio di sostanze stupefacenti costituiva l’unico strumento di sostentamento dell’indagato.

La verità è ben altra!

In primo luogo, il Tribunale del Riesame doveva valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e, cioè, degli elementi necessari per l’applicazione di una misura cautelare personale ( una fase del processo penale ben diversa da quella dove si deve decidere della colpevolezza di un soggetto!).

Il Tribunale, poi, valutando anche il dato quantitativo minimo della sostanza oggetto della condotta di cessione, ha riqualificato il fatto  dall’ipotesi di cui all’art. 73, comma 1, d.p.r. 309/90 (detenzione di sostanze stupefacenti a scopo di cessione) in quella più tenue prevista dal comma 5 della medesima disposizione (detenzione a scopo di cessione di lieve entità).

Il Tribunale, inoltre, conformemente alla costante giurisprudenza in materia, pur evidenziando  le pregresse vicende criminali del soggetto, ha comunque sottolineato che le stesse non abbiano alcun valore in ordine alla configurazione dell’ipotesi più tenue.

Per le ragioni sopra esposte si è quindi proceduto a riqualificare il fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.p.r. 309/1990, circostanza che, di diritto, comporta l’impossibilità di disporre la custodia cautelare in carcere, dal momento che i limiti di pena previsti dalla legge non consentono tale misura custodiale.

Con riferimento alle esigenze cautelari, il Tribunale del Riesame ha rilevato la sussistenza di un concreto e attuale pericolo di reiterazione di analoghi reati tenuto conto di precedenti specifici e che lo spaccio doveva ritenersi l’unico mezzo di sostentamento per cui ha ritenuto adeguata l’applicazione della misura del divieto di dimora nel territorio del Comune di Milano, luogo dove si sono svolti i fatti e dove risultavano commessi anche i precedenti.

In conclusione, fermo restando che la scarcerazione doveva essere disposta perché la riqualificazione del fatto non consentiva la custodia cautelare in carcere, è necessario evidenziare (e ricordare) che l’assenza di una lecita fonte di sostentamento è stata la ragione non della revoca della misura, ma della ritenuta sussistenza del pericolo di reiterazione del reato per cui è stata applicata una diversa misura cautelare.

In seguito l’ordinanza.


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