Assolto dal reato di minaccia, una persona aveva detto “dovete stare attenti ve la farò pagare”

minaccia te la farò pagare Tempo di lettura stimato: 4 minuti
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Avv. Marco Trasacco |La Corte di Cassazione (sentenza 26 settembre 2017, n. 44381), dopo aver esaminato il contesto nel quale sarebbe stata pronunciata la frase, ha evidenziato che “non appare illogico ritenere che l’espressione “ve la farò pagare” si riferisse proprio all’esercizio di azioni giudiziarie e la prospettazione dell’esercizio di azioni giudiziarie, attraverso la generica espressione in contestazione, in quanto esplicazione di un diritto, non implica un danno ingiusto e, quindi, il reato di minaccia“.

La Suprema Corte, però, ha avuto modo anche di precisare che per la configurabilità del reato di minaccia non è necessario che nella vittima si concreti lo stato di intimidazione. Nel reato di minaccia elemento essenziale e la limitazione della liberta psichica, mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall’autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest’ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta a intimorire e irrilevante l’indeterminatezza del male minacciato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente (da queste premesse, in una vicenda in cui l’indagato aveva proferito l’espressione “dovete stare attenti che ve la farò pagare”, la Corte ha ritenuto che, calata l’espressione oggetto di contestazione nella situazione concreta contingente nell’ambito della quale era stata proferita, non poteva apprezzarsi la “minaccia” di un male ingiusto nei confronti della parte offesa, deponendo, quantomeno in senso dubitativo, il fatto che da diverso tempo i rapporti tra la persona offesa e l’imputato erano “tesi”, di guisa che plurime erano state le denunce penali tra i due: in vero, secondo il giudice di legittimità, non appariva illogico ritenere che l’espressione “ve la farò pagare” si riferisse proprio all’esercizio di azioni giudiziarie e la prospettazione dell’esercizio di azioni giudiziarie, attraverso la generica espressione in contestazione, in quanto esplicazione di un diritto, non implicava un danno ingiusto e, quindi, il reato di minaccia; di qui, l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna).

In seguito la sentenza per esteso.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente –
Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere –
Dott. PEZZULLO Rosa – rel. Consigliere –
Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere –
Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.M., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 22/01/2013 del GIUDICE DI PACE di BOLOGNA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/04/2017, la relazione svolta dal
Consigliere Dr. ROSA PEZZULLO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Dott.ssa Di Nardo Marilia, che ha concluso per
l’annullamento senza rinvio relativamente al reato di cui all’art.
594 c.p. perchè il fatto non è più previsto dalla legge come
reato e per l’inammissibilità nel resto, con rideterminazione della
pena;
udito il difensore dell’imputato, avv.to Mattia Aprea, in
sostituzione dell’avv. Alberto Grimaldi Prassede, che ha concluso
riportandosi ai motivi.

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 22/01/2013, il Giudice di Pace di Bologna determinava la pena nei confronti di M.M. in Euro 400 di multa, per i reati di cui agli artt. 594 e 612 c.p. in danno di Z.P..

2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto appello, a mezzo del suo difensore di fiducia, qualificato con ordinanza del 21.11.2016 come ricorso per Cassazione, lamentando la mancata applicazione della scriminante della provocazione ex art. 599 c.p., comma 2 in ordine al reato di cui all’art. 594 c.p. e la mancanza del contenuto minaccioso nelle frasi pronunciate all’indirizzo della Z., in ordine al reato di cui all’art. 612 c.p., in quanto, sussistendo da tempo un contrasto tra persona offesa ed imputato, non poteva escludersi che il riferimento fosse a possibili azioni giudiziarie.

3. In data 14.4.2017 l’imputato, a mezzo del suo difensore, ha fatto pervenire memoria, con la quale ha evidenziato, tra l’altro, la sopravvenuta abrogazione del reato di cui all’art. 594 c.p. ed ha argomentato ulteriormente l’insussistenza della minaccia.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per quanto di ragione.

1.Va innanzitutto rilevato che, in forza del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 1, comma 1, lett. c), l’art. 594 c.p. è stato abrogato.

Ne discende che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 2, perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Tale decisione è assorbente rispetto alle doglianze sviluppate in ricorso in relazione alla configurabilità dell’esimente di cui all’art. 599 c.p. in relazione all’ingiuria.

2. Quanto al reato di minaccia, effettivamente deve ritenersi carente nell’espressione “dovete stare attenti che ve la farò pagare”, l’elemento materiale del reato di cui all’art. 612 c.p..

Invero, questa Corte (Sez. 5, n. 31693 del 07/06/2001) ha più volte precisato che nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica, mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall’autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest’ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire ed irrilevante l’indeterminatezza del male minacciato, purchè questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente (Sez. 1, n. 44128 del 03/05/2016).

3. Orbene, calata l’espressione oggetto di contestazione nella situazione concreta contingente nell’ambito della quale è stata proferita, emerge che non può farsi questione della “minaccia” di un male ingiusto nei confronti della parte offesa, deponendo, quantomeno in senso dubitativo, il fatto che da diverso tempo i rapporti tra la p.o. ed imputato erano “tesi”, di guisa che, come si ricava dalla sentenza impugnata, plurime erano state le denunce penali tra i due.

In proposito, pertanto, come dedotto dal ricorrente, non appare illogico ritenere che l’espressione “ve la farò pagare” si riferisse proprio all’esercizio di azioni giudiziarie e la prospettazione dell’esercizio di azioni giudiziarie, attraverso la generica espressione in contestazione, in quanto esplicazione di un diritto, non implica un danno ingiusto e, quindi, il reato di minaccia.

4. La sentenza impugnata, in definitiva, va annullata senza rinvio quanto all’ingiuria perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato e quanto alla minaccia perchè il fatto non sussiste.

PQM
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto all’ingiuria perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato e quanto alla minaccia perchè il fatto non sussiste.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2017

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