Abuso edilizio: la tettoia non necessita “sempre” del permesso di costruire

Studio Legale Trasacco & Pecorario Tempo di lettura stimato: 6 minuti
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Il TAR Campania con la sentenza n. n. 109/2017 del 16.01.2017, in contrasto con alcuni orientamenti della Cassazione, ha statuito che il Comune non può ordinare l’abbattimento di una tettoia non autorizzata se la struttura, anche se eseguita in appoggio di un muro, si apre solo su tre lati, non rappresentando aumento di volumetria.

T.A.R. Salerno, (Campania), sez. I, 16/01/2017, (ud. 10/01/2017, dep.16/01/2017), n. 109
Intestazione

Fatto
Espongono i ricorrenti che il Comune di Battipaglia, mediante l’ordinanza di demolizione impugnata, ha loro contestato, a seguito di sopralluogo, la realizzazione di opere edilizie senza permesso di costruire, ed in particolare: di una tettoia in legno ad una sola falda, di forma rettangolare, avente dimensioni di mq. 31,42 ed altezza in gronda di m. 2,50 ed alla gronda di m. 2,65, sul terrazzo di loro proprietà ubicato al primo piano, ad esclusivo servizio di detto piano; della copertura del suddetto appartamento a lastrico solare e non, come previsto dal titolo edilizio, con falde inclinate; infine, dell’ampliamento del terrazzo al primo piano, che funge da portico per il piano terra, avendo esso una lunghezza massima di m. 12,70 e non di m. 12,12, come approvato con la s.c.i.a. n. 55897/2013.
Mediante le censure formulate in ricorso, viene dedotto che la tettoia in legno non sviluppa cubatura e non rientra tra gli interventi sottoposti al permesso di costruire, essendo i lati anteriori e posteriori aperti, mentre un lato insiste su una siepe e solo un lato risulta chiuso in quanto appoggiato al muro dell’edificio principale, ciò anche in considerazione del suo carattere pertinenziale e del fatto che il suo volume non è superiore al 20% dell’edificio principale: ne consegue, ad avviso dei ricorrenti, la sua sottoposizione alla sola sanzione pecuniaria.
Quanto alla copertura con lastrico solare e non a falde inclinate, come previsto dal permesso di costruire n. 10 del 31.1.2011, viene dedotto che i lavori di costruzione non sono ancora terminati e, vista la scadenza del titolo edilizio, ci si riserva di richiedere nuovamente l’autorizzazione a costruire anche al fine di conformare la costruzione al progetto iniziale.
Quanto invece alla difformità concernente il terrazzo e la sagoma del fabbricato al primo piano, essa risulta di modesta entità sì da poter essere ricondotta al disposto dell’art. 34, comma 2 ter, d.P.R. n. 380/2001, secondo cui non configurano parziale difformità le modifiche di volume e di sagoma che rientrano nel 2% di quelli autorizzati; inoltre, dispone l’art. 34 che, quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio per la parte eseguita in conformità, viene applicata la sola sanzione pecuniaria.
Le opere, continua la parte ricorrente, non alterano in modo sostanziale i prospetti visibili dalle aree pubbliche, per cui sarebbero soggette alla sola s.c.i.a. e non al rilascio del permesso di costruire.
Inoltre, il d.l. n. 133/2014, disponendo che sono attratte al regime della s.c.i.a. anche le varianti non essenziali al permesso di costruire, esclude l’applicazione della sanzione ripristinatoria.
Infine, viene dedotto che l’ordinanza impugnata non indica in maniera certa gli interventi necessari a carico degli effetti proprietari di ogni unità abitativa, in quanto essa cita entrambi i proprietari, ovvero non solo i ricorrenti ma anche il sig. Ro. D’A., ognuno proprietario di una propria unità abitativa, quindi responsabile delle difformità afferenti alla sua proprietà, mentre il ripristino non potrebbe avvenire senza arrecare pregiudizio all’abitazione del suddetto.
Il difensore del Comune di Battipaglia chiede il rigetto del ricorso il quale, all’esito dell’udienza di discussione, è stato trattenuto dal collegio per la decisione di merito.
Diritto
Mediante l’ordinanza impugnata (limitatamente alle opere relative all’immobile di proprietà dei ricorrenti, identificato in catasto al foglio (omissis), p.lla (omissis)) viene contestata la realizzazione di un intervento di “ristrutturazione pesante” in assenza di permesso di costruire, scaturito dalle opere assentite e da quelle accertate in difformità, valutate complessivamente, essendo stato realizzato un organismo edilizio diverso da quello descritto nell’atto di compravendita per notar Claudia Petraglia rep. n. 15985 del 28.8.2007: infatti, mentre originariamente l’immobile era articolato in un solo alloggio, allo stato attuale il manufatto è costituito da due appartamenti, uno a piano terra ed uno al primo piano.
Rileva in particolare l’Amministrazione comunale che le opere realizzate senza titolo e/o in difformità dalla D.I.A. del 12,9.2007, dalla s.c.i.a. dell’8.10.2010, dalla comunicazione del 9.5.2012, dalla s.c.i.a. del 31.7.2013 e dalla comunicazione del 4.9.2013 sono le seguenti:
– una tettoia in legno ad una sola falda, di forma rettangolare, avente dimensioni di mq. 31,42 ed altezza in gronda di m. 2,50 ed alla gronda di m. 2,65, sul terrazzo di proprietà dei ricorrenti ubicato al primo piano, ad esclusivo servizio di detto piano, poggiante per un lato direttamente sulla struttura esistente del fabbricato e per l’altro su pilastrini in legno;
– la copertura dell’appartamento al primo piano è a lastrico solare e non, come previsto dal titolo edilizio, con falde inclinate;
– l’ampliamento del terrazzo al primo piano, che funge da portico per il piano terra, avendo esso una lunghezza massima di m. 12,70 e non di m. 12,12 come approvato con la s.c.i.a. n. 55897/2013, non è assistito dalla prescritta autorizzazione sismica a sanatoria;
– la sagoma approvata del fabbricato al primo piano è di forma rettangolare e misura m. 7,40 x m. 10,12, mentre è stata accertata pari a m. 7,50 x m. 10,60.
L’ordinanza si dirige anche nei confronti del sig. Ro. D’A., proprietario dell’appartamento sito al piano terra (in catasto sub 2), cui vengono contestate autonome difformità.
Tanto premesso, la proposta domanda di annullamento è meritevole di accoglimento.
Deve in primo luogo osservarsi che l’ordinanza impugnata assume a suo presupposto la realizzazione, per effetto di molteplici interventi realizzati sull’immobile di proprietà dei ricorrenti (e del sig. Ro. D’A.) – alcuni dei quali oggetto di pregresse procedure edilizie (svoltesi secondo lo schema della d.i.a./s.c.i.a.), altri in assenza di titolo abilitativo – di un organismo edilizio diverso da quello preesistente, riconducibile alla categoria della ristrutturazione edilizia cd. pesante, nei termini definiti dall’art. 10, comma 1, lett. c) d.P.R. n. 380/2001, ai sensi del quale “costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: (…) c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”: in particolare, il quid della diversità tra l’organismo edilizio preesistente e quello oggetto di accertamento è individuato dall’Amministrazione intimata nel fatto che, mentre il primo era costituito da “una casa di abitazione di vecchia costruzione (…) sviluppantesi su due livelli collegati tra loro mediante scala esterna”, quello derivante dalla contestata attività edilizia è rappresentato da “due appartamenti, uno a piano terra ed uno al primo piano”.
La fonte legittimante l’esercizio del potere demolitorio viene appunto individuata dall’Amministrazione intimata nel disposto dell’art. 33, comma 1, d.P.R. cit., ai sensi del quale “gli interventi e le opere di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 10, comma 1, eseguiti in assenza di permesso o in totale difformità da esso, sono rimossi ovvero demoliti e gli edifici sono resi conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistico-edilizi entro il congruo termine stabilito dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale con propria ordinanza, decorso il quale l’ordinanza stessa è eseguita a cura del comune e a spese dei responsabili dell’abuso”.
Ebbene, ritiene il Tribunale che le censure formulate con il ricorso in esame, pur non prendendo esplicitamente in considerazione la contestazione complessiva formulata dall’Amministrazione ai sensi del citato art. 10, comma 1, lett. c) d.P.R. n. 380/2001, essendo incentrate sui singoli episodi edilizi indicati nell’ordinanza impugnata, consentano di enucleare, unitariamente e sostanzialisticamente esaminate, i vizi di illegittimità del provvedimento impugnato, tali da condurre al suo necessario annullamento: ciò con particolare riguardo all’assunto attoreo secondo cui le opere realizzate non hanno comportato alcun incremento volumetrico dell’immobile preesistente, essenziale ai fini della configurazione della tipologia di abuso contestato con l’ordinanza impugnata.
Deve invero precisarsi che, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. c) d.P.R. n. 380/2001, la sottoposizione al regime del permesso di costruire (ed al conseguente potere demolitorio) presuppone non solo che l’intervento di ristrutturazione edilizia abbia portato “ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”, ma anche – come è reso evidente dalla congiunzione “e” – che esso abbia comportato “modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti”, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, abbia comportato “mutamenti della destinazione d’uso”, ovvero ancora che abbia comportato “modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”.
Escluso che si ricada in una delle due ultime ipotesi (non essendo contestato dall’Amministrazione che l’immobile ricada in zona A né in area sottoposta a tutela paesaggistica), non resta che verificare, alla stregua delle doglianze attoree, se l’intervento contestato abbia dato luogo ad una modificazione della “volumetria complessiva” (non essendo ugualmente contestata dall’Amministrazione la fattispecie alternativa della modifica dei prospetti).
Al quesito deve darsi, ad avviso del Tribunale, risposta negativa.
Invero, la sola opera astrattamente suscettibile di assumere rilevanza volumetrica, tra quelle sanzionate dall’Amministrazione, è quella rappresentata dalla “tettoia in legno ad una sola falda, di forma rettangolare, avente dimensioni di mq. 31,42 ed altezza in gronda di m. 2,50 ed alla gronda di m. 2,65, sul terrazzo di loro proprietà ubicato al primo piano, ad esclusivo servizio di detto piano, poggiante per un lato direttamente sulla struttura esistente del fabbricato e per l’altro su pilastrini in legno”.
Ebbene, ad escludere la rilevanza volumetrica della tettoia, sulla scorta di giurisprudenza anche recente (cfr. T.A.R. Molise, Sez. I, n. 43 del 29 gennaio 2016), è il fatto che essa, come si evince dalla stessa descrizione fattane dall’Amministrazione, è aperta su tre lati.
Quanto alle ulteriori contestazioni formulate dall’Amministrazione, con particolare riguardo a quella relativa alla diversità della sagoma ed all’incremento di altezza del piano terra (peraltro di pertinenza non dei ricorrenti ma del sig. Ro. D’A.), invece, nessuna indicazione viene data nel provvedimento impugnato in ordine all’eventuale incremento di volume ad esse conseguente ed alla relativa misura, risultando quindi ininfluenti ai fini della qualificazione dell’intervento (ai sensi del richiamato art. 10, comma 1, lett. c) d.P.R. n. 380/2001).
La domanda di annullamento proposta con il ricorso in esame, in conclusione, deve essere accolta, potendo dichiararsi l’assorbimento delle censure non esaminate.
Il Comune di Battipaglia deve essere condannato alla refusione delle spese di giudizio a favore dei ricorrenti, nella misura di € 1.500,00, oltre oneri di legge, nonché al rimborso del contributo unificato, pari ad € 650,00.
PQM
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 2698/2015:
– lo accoglie ed annulla per l’effetto il provvedimento impugnato;
– condanna il Comune di Battipaglia alla refusione delle spese di giudizio a favore dei ricorrenti, nella misura di € 1.500,00, oltre oneri di legge, nonché al rimborso del contributo unificato, pari ad € 650,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Giovanni Grasso, Presidente FF
Giovanni Sabbato, Consigliere
Ezio Fedullo, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 16 GEN. 2017.

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